
Lo sviluppo del linguaggio è sicuramente una tappa fondamentale che va compiuta in maniera graduale e senza fretta. Si passa dal pianto dei primi giorni al sorriso sociale intorno al terzo mese, dalla lallazione, ovvero dalla pronuncia di semplici sillabe, fino alle prime parole intorno ai nove mesi circa. Sentirsi chiamare “mamma” e “papà” è una grande emozione e da qui a poco il bambino inizierà, piano piano, a dare il nome alle cose.
Perché parlare correttamente?
Iniziamo subito con il dire di quanto sia fondamentale insegnare a chiamare gli oggetti e gli esseri viventi con il loro specifico nome. Inventare termini senza senso e farli apprendere ai bambini, solo perché suscitano simpatia, non è un buon metodo di approccio alla parola. Troppo spesso, infatti, si sentono in giro adulti che si rivolgono ai piccoli riferendosi ad oggetti il cui nome non è assolutamente quello.
È così allora che il cane viene chiamato “toto”, la macchina “brum-brum”, il biberon “bumbo” e via dicendo. Per non parlare delle azioni. I simpatici adulti invece di dire al bambino “sei caduto” utilizzano l’espressione “bumba” magari con qualche “a” di troppo, in questo caso si direbbe “bumbaaa”!
Inventare parole potrebbe essere un bellissimo gioco da fare insieme quando, però, il bambino ha una conoscenza del mondo ed un sufficiente vocabolario di suoni e parole già interiorizzati. A partire dai due anni l’attività preferita sarà il cosiddetto “gioco simbolico”, ovvero il far finta di essere qualcun altro; in questo caso si potrebbe immaginare, di essere, per esempio, su un altro pianeta dove gli abitanti parlano in maniera strana.
Prima di quest’età, invece, proprio perché iniziano ad approcciarsi all’esterno, a conoscere il mondo, sarebbe bene che iniziassero fin da subito a rapportarsi con le cose chiamandole con il loro giusto nome per non andare incontro a possibili confusioni e fraintendimenti. Pensiamo infatti ad un bambino che va al nido e chiede il “bumbo”, l’educatrice dovrebbe essere un genio per capire che il piccolino stia facendo riferimento al “biberon”.
Intendiamoci, se utilizzate questo tipo di pseudo-linguaggio con i vostri figli non creerà nessun danno neurologico o non diventeranno da grandi dei soggetti deviati o problematici, ma la lingua italiana è già ricca di suoni e parole che spesso non utilizziamo… perché inventarne di altre invece di insegnare a parlare correttamente?
La dottoressa Chiara Mancarella è iscritta all’ ANPEC (Associazione Nazionale Pedagogisti Clinici) n. 4438 ed è docente di Scuola Primaria. Si è formata come Pedagogista Clinico presso l’ISFAR (Istituto Superiore Formazione Aggiornamento e Ricerca®), oltre alla Laurea in Pedagogia dell’Infanzia, una Specializzazione in Dirigenza scolastica e socio-educativa e un Diploma in Flauto traverso.