
È difficile sicuramente prendere una decisione e, in tale sede, non vogliamo schierarci in nessuna fazione. Va detto, però, che occorre fare molta attenzione quando si parla di bambini e adolescenti. Sono i soggetti, socialmente parlando, più fragili e facilmente malleabili, si aprono alla vita e la loro identità va formandosi.
Di cosa parliamo quando diciamo ADHD?
È bene, tuttavia, procedere per gradi. Se andiamo ad analizzare le manifestazioni più basilari del disagio (volutamente evito di descriverlo come un disturbo), si resta molto perplessi sulla possibilità di avere a che fare con individui in un certo senso malati. Secondo quanto riportano i manuali, infatti, un soggetto formalmente qualificato come ADHD mostrerebbe le seguenti caratteristiche:
- una incapacità a rispettare il proprio turno, interrompendo chi sta parlando o svolgendo un’altra attività;
- fatica a concentrarsi e a restare fermi per un lungo periodo.
Perché classificare?
Personalmente considero ogni tipo di etichettamento come un’esclusione e oggigiorno si sta creando un’esagerazione, quasi fosse necessario e obbligatorio individuare soggetti “non-normali”.
Già, ma chi sono allora i “normali”? Quale bambino non è annoiato e disattento se la lezione risulta essere noiosa o poco coinvolgente? Quanti bambini sono stanchi della lezione tradizionale? Nonostante l’utilizzo delle tecnologie all’interno delle scuole e delle LIM (Lavagna Interattiva Multimediale), presenti nelle classi, sono ancora pochi gli insegnanti in grado di utilizzarla o comunque di usarla in maniera davvero interattiva, coinvolgendo tutta la classe e non solo i soliti “bravi”.
Se un bambino viene etichettato, automaticamente mette in atto delle strategie difensive, le quali possono essere poca collaborazione o atteggiamenti oppositivo-provocatori.
Il più delle volte si vive male questa situazione e l’ansia è uno dei disagi che maggiormente si manifesta in questi soggetti. Il grosso sbaglio è poi se il disagio viene medicalizzato e allora si ricorre, purtroppo, a psicofarmaci che vanno a calmare l’individuo.
L’errore che oggigiorno si sta compiendo è quello di dare un nome scientifico ad ogni cosa. Tutto ciò che non rispecchia quello che la società richiede, viene definito “diverso” e pertanto va modificato, curato.
Rousseau nella sua grande opera educativa, l’Emilio, scriveva che “Una testa dev’essere ben formata anziché ben riempita”.
Il compito del genitore
Il ruolo di qualsiasi adulto, e qui non mi stancherò mai di ripeterlo, è quello di accompagnare ogni fanciullo nel delicato compito di crescere. Nessuno può stabilire cosa sia la vera normalità e parlando di bambini, bisognerebbe aiutarli a tirar fuori ogni loro risorsa, ogni potenzialità, ogni aspetto della loro personalità, unica così come unico è ogni bambino.
Individuando in questi soggetti un problema, creeremo adolescenti insicuri e poco motivati ad esprimersi, poco propensi e manifestare le proprie idee. Diventeranno adulti con un passato segnato. Il nostro compito è invece quello di creare un ambiente sicuro e stimolante dove poter permettere ad ognuno di potersi liberamente esprimere dando sfogo alla sua natura. Purtroppo la rigidità mentale è ancora presente, l’aprire le porte alle tecnologie non fa di una scuola un’istituzione moderna e all’avanguardia.
“Lasciate che i bambini siano felici a modo loro, non esiste modo migliore”. (Dr. Johnson)
La dottoressa Chiara Mancarella è iscritta all’ANPEC (Associazione Nazionale Pedagogisti Clinici) n. 4438 ed è docente di Scuola Primaria. Si è formata come Pedagogista Clinico presso l’ISFAR (Istituto Superiore Formazione Aggiornamento e Ricerca®), oltre alla Laurea in Pedagogia dell’Infanzia, una Specializzazione in Dirigenza scolastica e socio-educativa e un Diploma in Flauto traverso.